In un mondo sempre più interconnesso, la qualità della comunicazione e la capacità di argomentare in modo rispettoso e produttivo sono elementi essenziali per il buon funzionamento di qualsiasi società. La mia esperienza professionale in Gran Bretagna, dove ho lavorato in diversi dipartimenti governativi (sia locali che centrali), mi ha fatto riflettere profondamente sulle differenze culturali nel modo in cui vengono affrontate le discussioni e le controversie. In particolare, il rispetto delle procedure formali e delle norme di etichetta in contesti professionali e politici è molto più radicato rispetto a quanto avvenga in Italia, dove la comunicazione spesso sfocia in scontri emotivi e accusatori.
In ogni progetto, la collaborazione tra tutte le parti coinvolte è essenziale per raggiungere il successo. Quando ognuno contribuisce verso un obiettivo comune, si crea un ambiente di lavoro che stimola il confronto e la crescita reciproca.
Ma come si raggiunge questa collaborazione? La chiave sta in una visione condivisa.
Avere una visione chiara aiuta a ridurre i conflitti, evita sprechi di risorse e permette a ciascuno di comprendere il proprio ruolo nel raggiungimento dell’obiettivo comune. Quando tutti si riconoscono in questa visione, il lavoro diventa più coeso e motivato, con ogni contributo che viene apprezzato e indirizzato verso risultati concreti. Questo è un processo che richiede attenzione, comunicazione continua e un impegno costante a imparare e migliorarsi.
É assolutamente sconfortante la scoperta di quanto sia facile da parte di tutti noi dimenticarci di problemi fondamentali rispettosi della ns. vita sociale attuale e futura.
Il problema rappresentato dal servizio è senza dubbio tragicamente realistico, ma denota quanto la deriva consumistica e individualistica che noi tutti condividiamo su base costante e di cui siamo indubbiamente tutti responsabili possa renderci inopinatamente ignavi ed accidiosi ad ogni inciampo potenziale del nostro percorso sociale.
Il dibattito sulla migrazione è sempre stato al centro delle discussioni politiche e sociali, ma negli ultimi anni ha acquisito un'importanza ancora maggiore, alimentato da conflitti globali, crisi economiche e sfide politiche interne. Spesso, il tema viene affrontato da diverse prospettive, ma raramente si considera in modo completo, unendo gli aspetti umanitari e quelli economici, e riflettendo sul diritto umano di muoversi liberamente nel mondo.
Da ex emigrata, sento particolarmente questo dibattito. Quando si parla di italiani emigranti, il discorso sembra concentrarsi quasi sempre sui "cervelli in fuga" o su altri aspetti positivi, implicitamente assegnando agli italiani il diritto alla libertà di movimento e alla scelta del luogo dove vivere, lavorare e costruirsi una famiglia. Tuttavia, questa stessa cortesia non sembra essere sempre estesa a chi migra verso l’Italia, soprattutto a chi proviene da paesi come l’Afghanistan, l’Iraq o da altre zone in conflitto.

Non concordo con Andrea Pubusa, già professore di Diritto Amministrativo nella facoltà di Giurisprudenza di Cagliari (vai al link: https://www.democraziaoggi.it/?p=8954#comment-19435)
.. “nè reiterata né grave”..? Ci sono inadempienze previste per legge, che contempla la decadenza di chi ne è responsabile. La gravità evidentemente è ritenuta tale, se la “pena” è la decadenza.
La legge cui si sono richiamati i componenti del Collegio elettorale regionale mi pare non debba considerare “la reiterazione”, per il semplice fatto che è impossibile che essa si manifesti nel caso di specie. Si dovrebbe accedere infatti a nuove elezioni per riconoscerla ancora.
Ci sono state situazioni, in assemblee di rango inferiore, per utilizzare codici linguistici o tecnici, che piacciono al professore, che furono minacciate di scioglimento dall’allora esistente Coreco perché si erano ostinate a non volere dichiarare ineleggibile un componente appunto ineleggibile, che rientrava perfettamente nelle categorie escludenti previste dall’ordinamento.
Amministrare la cosa pubblica è una delle responsabilità più delicate e fondamentali, perché incide direttamente sulla vita delle persone e sullo sviluppo della comunità. Tuttavia, osservando lo stato dei lavori pubblici a Sinnai, emergono diverse problematiche nella gestione delle gare d'appalto e nell'esecuzione dei contratti. A guardare da fuori, sembra che ci sia ancora molto da fare per far sì che Sinnai diventi davvero competitiva, fiera, pulita e ben amministrata. Insomma, per realizzare quella “Altra Sinnai” che ci è stata promessa in campagna elettorale.
A volte, guardare la situazione da una prospettiva esterna, frutto di esperienze internazionali, può fare la differenza. Avendo lavorato a lungo nella valutazione di gare d'appalto e nella gestione di contratti pubblici in Inghilterra, credo che ci siano delle buone pratiche che potrebbero migliorare la gestione dei contratti pubblici a livello locale, aumentando sia la qualità che l'efficienza.
Le gare d’appalto in Italia sono pensate per garantire trasparenza e concorrenza, con l’obiettivo di trovare il miglior rapporto qualità-prezzo. Quando un’amministrazione seleziona un fornitore, prende in considerazione diversi fattori, tra cui il prezzo e la qualità del servizio. Tuttavia, in certi casi, sembra che alla fine prevalga il prezzo più basso, anche a discapito della qualità.
Questa è la storia di un residente di Sinnai che, suo malgrado, si è ritrovato coinvolto in un caso burocratico che, ahimè, ad oggi rimane ancora senza risposta. La sua vicenda, che riguarda la gestione dei suoi dati personali da parte delle amministrazioni pubbliche, solleva interrogativi fondamentali su come vengono trattati i dati sensibili e su quali siano i diritti dei cittadini quando si verificano errori. Ma andiamo con ordine.
Tutto inizia quando il residente di Sinnai riceve una comunicazione ufficiale da parte di un Ministero, avvisandolo della necessità di fornire una serie di dati per evitare l’incorrere in sanzioni. Confuso e senza la minima idea di cosa si tratti, è costretto a chiedere chiarimenti. Come spesso accade in Italia, niente è mai semplice. La risposta del Ministero lo indirizza a un ufficio regionale, che a sua volta lo rimanda, all’ufficio comunale di Sinnai. Una catena di "vai e torna", che culmina con un codice che il residente utilizza per effettuare una piccola ricerca online. Risultato? Finalmente scopre che si tratta di un caso di omonimia: il suo nome è stato erroneamente associato a una questione che non ha nulla a che fare con lui.
E così, si vede costretto a fare formale richiesta al Comune. La sua PEC, nella quale chiedeva non solo la rimozione dei propri dati personali dal database in questione, ma anche chiarimenti su eventuali altri dati divulgati a terzi in maniera impropria, nonché informazioni su quali misure il Comune di Sinnai intenda adottare per prevenire situazioni simili in futuro, viene protocollata a fine novembre 2024. Tuttavia, ad oggi, la richiesta rimane senza risposta.
Capirete bene che questo episodio scatena una serie di domande sulla gestione dei dati personali e sul rispetto del GDPR da parte degli enti pubblici.
La gestione dei dati personali non può essere ignorata. Le richieste dei cittadini non possono essere lasciate senza risposta, specialmente quando riguardano la privacy.
Alla sottoscritta, questa situazione pare un po' surreale. Non perché non sia possibile che accada un errore del genere, ma perché ci sono regole sul GDPR che vanno rispettate. E queste regole sono molto chiare. Nei miei ruoli precedenti, prima presso l'autorità locale londinese e poi per il governo britannico, il GDPR non era solo una questione di teoria, ma qualcosa di pratico che riguardava ogni singola persona che trattava dati. Si chiedeva periodicamente non solo di partecipare a un corso di formazione iniziale sul GDPR, ma anche a "refresher" periodici, ogni sei mesi circa. È giusto sottolineare che questi corsi erano obbligatori per tutti (ogni grado di ruolo: dal messo fino al Ministro!).
Il processo era semplice e rigoroso: dovevamo completare il corso, sostenere un test e ricevere un certificato finale per dimostrare che avevamo davvero assorbito quelle informazioni e che sapevamo cosa fare in materia di gestione dei dati personali. Un sistema che, seppur stringente, garantiva che ogni membro dell'amministrazione fosse sempre aggiornato e pronto a rispettare le normative, senza scuse.
Cos'è il GDPR e perché è rilevante per i cittadini?
Il GDPR (General Data Protection Regulation) è un regolamento dell'Unione Europea che disciplina il trattamento dei dati personali. Ha l’obiettivo di garantire una protezione più rigorosa dei dati personali dei cittadini europei e di stabilire regole più trasparenti per il trattamento di tali informazioni da parte di enti e aziende.
In base al GDPR, un dato personale è qualsiasi informazione che possa identificare direttamente o indirettamente una persona fisica. Questo include nome, indirizzo, numero di telefono, indirizzo e-mail, dati bancari, dati di geolocalizzazione, e anche identificatori digitali come indirizzi IP o cookie. La normativa, quindi, si estende a un'ampia gamma di informazioni che, anche se prese singolarmente potrebbero sembrare irrilevanti, potrebbero insieme permettere di identificare una persona.
Il GDPR e le amministrazioni pubbliche
Anche le amministrazioni pubbliche, come i Comuni, devono conformarsi al GDPR, con l’obbligo di trattare i dati personali in modo sicuro e di rispettare i diritti dei cittadini. Quando si verificano violazioni, come nel caso di un’erronea divulgazione dei dati, le amministrazioni devono adottare misure correttive tempestive, informare gli interessati, e, se necessario, segnalare l’incidente alle autorità competenti. Inoltre, devono garantire che non si ripetano errori simili in futuro, rivedendo processi, regolamenti e tecnologie utilizzati.
Ecco perché questa situazione a Sinnai mi sembra tanto surreale: sorge il dubbio che gli impiegati e i funzionari del Comune di Sinnai siano stati adeguatamente formati sull'importanza della gestione dei dati personali e sulle regole del GDPR. Se la gestione dei dati personali è affidata a chi non conosce la materia, è inevitabile che ci siano disguidi e situazioni simili a quella vissuta dal nostro residente.
Cosa avrebbe dovuto fare l'amministrazione comunale?
Secondo le leggi in vigore, l'amministrazione comunale, nel caso in questione, avrebbe dovuto eseguire una verifica interna per determinare la portata dell'incidente, confermando quali tipi di dati personali, oltre all'indirizzo e-mail, fossero stati condivisi erroneamente con la RAS, il Ministero in questione o altri enti. Se fossero stati coinvolti dati sensibili, come quelli relativi alla salute, alle opinioni politiche, o altre informazioni particolarmente protette dal GDPR, sarebbe stata una violazione grave.
Le azioni che l'amministrazione avrebbe dovuto intraprendere includono:
- Informare il residente su quali dati sono stati erroneamente divulgati.
- Indicare quali misure correttive sono state adottate o sono in corso per risolvere la situazione.
- Se necessario, informare se l'incidente è stato notificato all'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, come previsto dal GDPR in caso di violazioni gravi.
Inoltre, l'amministrazione avrebbe dovuto mettere in atto misure correttive per evitare che simili incidenti accadano in futuro. Tra queste, potrebbero esserci azioni come:
- Rivedere i processi di gestione dei dati: verificare come vengono trattati i dati personali, garantendo che solo il personale autorizzato abbia accesso a tali dati.
- Implementare nuove procedure interne per il trattamento dei dati personali, migliorando la sicurezza e riducendo i rischi di divulgazione non autorizzata.
- Formare adeguatamente il personale su come gestire correttamente i dati sensibili e sulle implicazioni legali di una violazione del GDPR.
Comunicazione e trasparenza
Nel caso in questione, si sarebbe dovuto comunicare all’interessato le azioni correttive intraprese. La comunicazione avrebbe dovuto essere chiara, precisa e contenere:
- Le misure adottate per proteggere i dati personali in futuro.
- Eventuali passi da intraprendere per l’interessato, come aggiornamenti o correzioni ai propri dati.
Il principio di trasparenza previsto dal GDPR implica che l’amministrazione debba essere chiara e informativa nei confronti dei cittadini. Non rispondere a una richiesta di chiarimenti non solo compromette la fiducia dei cittadini, ma potrebbe esporre l’amministrazione a sanzioni da parte dell’Autorità Garante se non vengono rispettati gli obblighi di comunicazione e gestione dei dati.
Conclusioni:
Il caso di Sinnai è un chiaro esempio di come una semplice disattenzione nella gestione dei dati personali possa dar vita a una situazione complessa, che tuttora rimane in sospeso.
Per questi motivi, è sempre più importante che i cittadini siano ben informati sui propri diritti legati al GDPR e sulle modalità di gestione dei propri dati.
Le amministrazioni pubbliche, come i Comuni, devono essere in prima linea nell’adottare misure di sicurezza adeguate e nel garantire che i cittadini possano esercitare i loro diritti senza ostacoli. In questo contesto, la figura del Responsabile della Protezione dei Dati (DPO), dovrebbe essere una garanzia di conformità al GDPR per ogni amministrazione.
Sorgono due domande importanti:
- Esiste un DPO nel Comune di Sinnai?
- In assenza di un DPO o di procedure precise per il trattamento dei dati personali, possiamo considerare i nostri dati personali davvero sicuri nel Comune di Sinnai?
Daniela Pau
Il 27 Gennaio è la giornata internazionale di commemorazione, il Giorno della Memoria, perché in quel giorno del 1945 le truppe dell' Armata Rossa scoprirono il campo di concentramento di Auschwitz e liberarono i superstiti. La scoperta del campo e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista.
Shoah in ebraico significa «tempesta devastante» (dalla Bibbia, per es. Isaia 47, 11). Con questo termine si indica lo sterminio del popolo ebraico durante la Seconda Guerra Mondiale.
È bene ricordare che nel novembre del 2005, con Risoluzione 60/7, rifiutando qualsiasi negazione dell’Olocausto come evento storico, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite condannò “senza riserve” tutte le manifestazioni (su base etnica o religiosa) di intolleranza, incitamento, molestia o violenza contro persone o comunità. I punti essenziali del testo risiedono nel suo duplice approccio che consiste sia nel ricordo di coloro che furono massacrati ma anche nel proposito di educare le generazioni future affinché questi orrori non vengano ripetuti.

Fanno riflettere le dichiarazioni dell’avvocato Conte, presidente del Movimento 5 Stelle. Sono tese a delegittimare il Collegio Elettorale Regionale di Garanzia nella sua ingiunzione ordinanza di decadenza di Alessandra Todde.
Conte parla di “conclusione palesemente illegittima e infondata” che non ha riscontro in nessuna previsione di legge”.
Bene, per quanto mi è stato possibile, sono andato diligentemente a verificare la legge di riferimento (L 10.12.1993 n.515 ) che regola la materia.
Intanto l’art.20 della legge dispone l’applicazione “in quanto compatibili”, anche alle regioni a statuto speciale, delle disposizioni di cui agli articoli da 1 a 6 e le relative sanzioni previste nell’art. 15 e le disposizioni di cui agli art. 17, 18 e 19. E questo per rispondere anche al collega di movimento Licheri che giudica la normativa richiamata dal Collegio di Garanzia non applicabile alle elezioni sarde.

Davvero poco prudente il suggerimento di non ricorrere, perché non necessario, trattandosi di un atto, quello dell’ingiunzione, “endoprocedimentale”.
Io, al posto della Todde, cui è stata notificata l’ingiunzione del Collegio Regionale di Garanzia Elettorale, penserei di proporre invece opposizione alla ordinanza ingiunzione ai sensi dell’art. 22 L. n. 689/1981. Non farlo, trascorsi i 30 giorni, significherebbe costringere lo stesso Consiglio Regionale a prendere atto di una dichiarata decadenza, contro la quale nessuna opposizione sarebbe stata mossa dall’interessato.
Adottare cavillosi sistemi di difesa, come quelli di non difendersi, dal mio punto di vista è molto rischioso. Né il Consiglio regionale sardo (cui nessuno vieterebbe di iniziare i suoi approfondimenti fin d’ora) potrebbe decidere di deliberare in modo corretto, sposando una tesi o un’altra, quando sono tutte ancora da concepire.

Oggi l’Agenzia giornalistica Ansa ha dato risalto alle esternazioni social del sen. Licheri sulla decadenza Todde (vedi la pagina facebook dello stesso). Le ho lette con interesse e curiosità.
Ettore Antonio Licheri è un avvocato sassarese, senatore del Movimento 5Stelle alla sua seconda legislatura.
“Alessandra Todde – scrive Licheri – ha fatto tutto quello che doveva fare, il Comitato elettorale (presieduto dallo stesso senatore n.d.r.) ha adempiuto con rigore alle prescrizioni di legge” e – continua Licheri – “la normativa richiamata dalla Commissione di garanzia non è applicabile alle elezioni sarde”.
Sono quasi allibito, non per gli adempimenti dichiarati rigorosi (non sta a me giudicare), ma per il grave vizio nel quale sarebbero incorsi i componenti del Comitato presieduto dalla Presidente della Corte d’Appello del Tribunale di Cagliari.
Non sono affatto meravigliato della difesa strenua di Licheri, che ha firmato la lettera di accompagnamento alla rendicontazione delle spese elettorali per il Comitato elettorale di Todde , perché collega di partito (o movimento che dir si voglia) e amico, difesa rivolta alle “inezie” addebitate alla Todde. Ma c’è modo e modo o ci sarebbe modo e modo per venire in soccorso a qualcuno.
Colpisce l’affermazione del senatore secondo la quale la normativa richiamata dalla Commissione di garanzia non si applicherebbe alle elezioni sarde.

Qualcuno si intrattiene in argomentazioni che si richiamano alla civiltà giuridica. Esse non spiegano però perché se un sindaco decade o si dimette, decade tutto i Consiglio comunale, se un presidente di regione si dimette o decade, tutto il Consiglio regionale decade. E’ già accaduto o no? E non nel III secolo a . C.
Nessuno si è posto nei casi citati la domanda su quale fosse la responsabilità dei decaduti, per dover subire, obtorto collo, la sorte di un sindaco o di un presidente di regione che lascia.
Allora la domanda che si può fare a chi sembra preparato sull’argomento – è lecita: la temperie culturale e la civiltà giuridica attuale ha cancellato quelle “aberrazioni” o gli risulta che le stesse siano ancora in vigore?
Vale anche un poco soffermarsi su certe previsioni: certo, tutto porta a considerare che l’organismo consiliare con la sua articolazione dedicata (che ha già rinviato i lavori di commissione agli inizi di Febbraio) faccia di tutto per sopravvivere e realizzare il responso oracolare di chi dice ”che tutto finirà come prima”, e col suo beneplacito. Non servono doti divinatorie per capirlo.

Quanto corre, professore! (vedi Democrazia Oggi del 14.1.2025) La questione non riguarda chi ce l’ha più duro, non è una questione di rango. Come è possibile che si confrontino diversi livelli di funzioni? Il Consiglio regionale sardo e l’altro, quello dell’organismo preposto ai controlli di Garanzia presso la Corte d’Appello.
Credo, mi corregga se sbaglio, che tutti e due, l’ Assemblea del Popolo Sardo –come Lei pomposamente la chiama - e l’altro, siano subordinati alla Legge. Né bisogna confondere la gradazione di sardismo (fino all’indipendentismo) col doveroso rispetto delle leggi della Repubblica Italiana, di cui la Regione Sarda è parte. Non mi risulta che finora i sardisti veri si siano comportati come fuorilegge. Non parlo del PSd ‘Az, per intenderci, ma dei sardisti diffusi, non iscritti ai partiti, che forse non si sentono così bene rappresentati dagli eletti in quell’Assemblea. I cui membri – e lei sa bene – nella prima adunanza del Consiglio regionale prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica e si impegnano ad esercitare il loro ufficio al solo scopo del bene inseparabile dello Stato e della Regione.

Quando il Consiglio regionale venne sciolto dopo le dimissioni di Renato Soru non ricordo considerazioni del tipo di quelle prodotte in articoli che si riferiscono all' estraneita’ dell'attuale Consiglio regionale, privo di responsabilita' dirette. Allora andarono tutti a casa in forza della legge. Non fu necessario l’intervento del Presidente della Repubblica. Quando per le dimissioni di un sindaco si scioglie un consiglio comunale nessuno si chiede quale responsabilita’ abbiano i consiglieri che vengono automaticamente “dimissionati”. È semplicemente una legge dello Stato, dura, dura quanto si vuole, che lo comanda. Dal momento in cui siamo voluti passare al ” presidenzialismo” ci siamo obbligati a queste conseguenze nefaste. E ora piangiamo lacrime di coccodrillo?
(Aldo Lobina)

La nostra sarebbe la patria del diritto - e del rovescio - naturalmente. L'argomento della decadenza del Presidente della regione è diventato quello del giorno. Anzi, accompagnerà nel tempo questa consigliatura regionale, delegittimandola di fatto, se non ancora di diritto, C'è da rimanere basiti quando si leggono ragionamenti secondo i quali la giunta delle elezioni potrebbe dichiararsi incompetente a decidere perché la presidente della Regione sarebbe consigliera di diritto e non consigliera eletta.
Solo presidente eletta. Una distinzione di notevole spessore giuridico che deve essere sfuggita agli estensori dell'ordinanza - ingiunzione di decadenza. Todde rappresenterebbe una sorta di corpo estraneo perché consigliera regionale solo di diritto. mentre -dico io - lo è anche di fatto, visto che, come il mio sindaco, che è uno dei 21 consiglieri del mio comune, vota tutte le proposte di delibera della sua maggioranza.