Sentiamo il dovere di tornare sull’argomento perché c’è un dato che da solo basta a sollevare più di una perplessità sul funzionamento del nostro Consiglio comunale: il punto sulla forestazione, richiesto da sette consiglieri di minoranza- e inizialmente escluso dall’ordine del giorno del 17 Aprile 2025 per una presunta carenza formale- verrà ora discusso nella prossima seduta del 29 Aprile. Esattamente nello stesso modo in cui era stato proposto la prima volta. Senza alcuna integrazione. Senza alcuna nuova relazione.
Una decisione che, più che un atto di apertura, suona come una clamorosa smentita delle giustificazioni fornite in precedenza dal presidente del Consiglio. Proprio colui, che aveva motivato l’esclusione con l’assenza di una relazione a corredo della richiesta, oggi riconosce la validità di quella stessa proposta, così com’era. Il tutto, senza che le opposizioni abbiano modificato una virgola.
Siamo di fronte a un evidente cortocircuito istituzionale. Se oggi il punto è considerato ammissibile, allora non c’era alcuna ragione per impedirne la discussione nella seduta precedente. E se allora è stato bloccato, non può che esserlo stato per altri motivi, non certo regolamentari.
Ma c’è di più: la richiesta delle opposizioni era non solo politicamente legittima, ma anche giuridicamente vincolante. L’articolo 39, comma 2 del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL) parla chiaro: “Il presidente del consiglio comunale è tenuto a riunire il consiglio, su richiesta di un quinto dei consiglieri, entro venti giorni, inserendo all’ordine del giorno le questioni richieste.”
Nel nostro caso, le firme c’erano — sette— la volontà politica era stata espressa e la richiesta era stata approvata in aula. Secondo legge quel punto doveva essere calendarizzato entro venti giorni dalla votazione. Non dopo!
Questa contraddizione tra le spiegazioni ufficiali e ciò che è accaduto davvero fa emergere un problema più grande: il rispetto delle regole democratiche all’interno del Consiglio comunale. Il rischio è che i regolamenti vengano applicati in modo arbitrario, a seconda della convenienza politica del momento (si narra suggerita da un sinedrio di grido) invece che seguendo ciò che le norme prevedono davvero.
Non è un dettaglio. È il cuore del funzionamento democratico di un’assemblea elettiva. Perché se sette consiglieri — oltre un quinto del Consiglio — non possono portare all’attenzione dell’aula un tema di interesse pubblico, allora la rappresentanza è solo apparente. E se lo possono fare solo quando la maggioranza lo ritiene conveniente, siamo proprio fuori dal dettato di legge. Fuori!
L’inserimento tardivo del punto dimostra chiaramente che la richiesta era legittima fin dall’inizio. Ma dimostra anche quanto sia fragile, oggi, il rispetto concreto delle regole.
E fa sorgere un dubbio ancora più serio: la scelta di rimandare la discussione — su un tema che tutti i consiglieri di maggioranza avevano deciso con voto palese di non discutere (anche nella prima commissione) — è stata davvero solo un errore?
Il Presidente del Consiglio aveva dichiarato che quella era la sua interpretazione del regolamento, assumendosene la piena responsabilità. Ma la verità è che da più parti — dentro e fuori l’aula — gli era stato fatto notare che non inserire quel punto all’ordine del giorno era un errore grave. Nonostante ciò, ha tirato dritto, ignorando gli avvertimenti.
Come dicevano i latini, errare humanum est, perseverare autem diabolicum. E quando l’errore diventa metodo, più che una svista, somiglia a una strategia. Perversa!