Il Volontariato che Fa la Differenza: L'Associazione Coordinamento Volontariato Giustizia di Bruno Asuni

A chi ci segue da qualche tempo non sarà certamente sfuggito l’intervento del sig. Bruno Asuni in uno degli incontri che tenemmo durante la scorsa campagna elettorale. Abbiamo sentito la necessità di approfondire meglio la sua storia e l’impegno che ha dedicato per tanti anni a favore dei detenuti e delle loro famiglie.

Così, ci incontriamo un mattino di Dicembre al bar S’Offelleria, già addobbato per il Natale, dove, tra un caffè e una pasta, Bruno inizia a raccontarci le storie che ha vissuto accanto ai carcerati di Buoncammino e del suo lavoro di oltre trent’anni nel campo del volontariato.

L'Associazione Coordinamento Volontariato Giustizia – Onlus, fondata e guidata proprio da Bruno, è stata un punto di riferimento fondamentale per tantissimi detenuti e le loro famiglie in Sardegna. L'associazione si occupava principalmente di supportare i carcerati, le loro famiglie e le persone che vivevano situazioni di marginalità legate al sistema penitenziario. Un lavoro che ha visto Bruno e il suo team impegnarsi nella difesa dei diritti dei detenuti, nella gestione dei colloqui e nell'aiuto a chi viveva fuori dalla Sardegna e aveva bisogno di un alloggio quando viaggiava a Cagliari per far visita al proprio caro in carcere.

Bruno, con orgoglio, ci mostra anche alcuni dei libricini che la sua associazione aveva preparato per aiutare i detenuti e le loro famiglie a districarsi nei meandri delle complesse regole carcerarie. Questi piccoli manuali erano una risorsa fondamentale per comprendere cosa fosse permesso ricevere, usare o fare all’interno delle strutture penitenziarie. Inoltre, ci racconta di avere anche una serie di foto dei carceri dismessi della Sardegna, scattate da un fotografo professionista.

Come è nata l'associazione?

 “Ero già impegnato nel volontariato”, ci spiega, “e tutto è cominciato quando siamo passati in macchina davanti al carcere di Poggio Reale e abbiamo visto molta gente in fila. Poco dopo, a Cagliari, abbiamo notato una situazione simile davanti al carcere di Buoncammino.” La scoperta fu sconvolgente: persone che dovevano aspettare anche 15 - 18 ore in fila per poter visitare i propri cari. Molti arrivavano addirittura la sera precedente, con la borsa dell’acqua calda in mano nelle nottate più gelide, per poter prendere il ticket e aspettare che quel portone si aprisse la mattina successiva alle 08:00, per un colloquio con i propri cari.

È motivo di orgoglio per Bruno dire: “E siamo intervenuti noi. E nel giro di alcuni mesi l’attesa è scesa ad alcune ore e poi a 15 minuti.”

Ma come fecero? L’Associazione di Bruno, pur non avendo “inventato la ruota”, ha saputo fare qualcosa di semplice ma estremamente efficace: mettere in pratica il buon senso. A volte, infatti, basterebbe davvero poco per risolvere situazioni che appaiono insormontabili.

Il primo passo fu l’installazione di un gazebo di fronte al carcere, dove il suo gruppo offriva supporto ai familiari dei detenuti. Successivamente, l’associazione acquistò un camper che si parcheggiava proprio davanti al portone del carcere. Qui, Bruno e i suoi collaboratori offrivano un caffè, una chiacchierata, insomma, qualsiasi cosa potesse rendere l'attesa più sopportabile per le persone che dovevano affrontare lunghe ore in fila per poter visitare i propri cari detenuti.

Non solo assistenza “fisica”, ma anche un aiuto pratico che rispondeva a una necessità concreta: “Abbiamo organizzato un servizio di counsel telefonico durante la settimana, che era un po’ come un “telefono amico”, racconta Bruno. “Serviva anche per le prenotazioni dei colloqui. Così, le persone che vivevano lontano non dovevano più arrivare con tante ore di anticipo per fare la fila.”

Bruno ci racconta che comunque l’iniziativa non fu priva di difficoltà. Le guardie del carcere, per esempio, infastidite dalla presenza del camper, inviavano regolarmente la polizia per controllare e farlo allontanare, sostenendo che non fosse consentito parcheggiare lì. Ma Bruno e il suo team avevano ottenuto l’autorizzazione del Comune di Cagliari, che successivamente concesse loro anche una sede per le attività.  

Un progetto che non è riuscito a sopravvivere

Purtroppo, nel 2014 l’associazione fu costretta a chiudere.

Siamo morti per mancanza di fondi. Avevamo 5 telefoni e poi uno a uno li abbiamo dovuti chiudere”, racconta.E abbiamo dovuto vendere il camper per coprire le spese. E la situazione fuori dal carcere è tornata come prima”, aggiunge con amarezza.

È triste pensare a come iniziative di questo tipo, che portano beneficio e speranza, possano essere messe in difficoltà per mancanza di fondi. La chiusura dell’associazione e la vendita del camper per coprire le spese dimostrano quanto siano fragili certi progetti, ma sono anche una testimonianza della grande forza e determinazione che caratterizzano chi, come Bruno, non ha mai smesso di lottare per gli altri.

Un impegno che dura nel cuore

Oggi Bruno Asuni guarda con nostalgia a quegl’anni. “Mi manca molto”, confessa. “Vorrei che tutti capissero la realtà che c'è dietro le sbarre. Il sistema penitenziario, purtroppo, non sempre favorisce il reinserimento dei detenuti. Le agevolazioni per chi si comporta bene sono fondamentali per ridurre la recidiva.”

Per Bruno, i detenuti non sono solo numeri su un foglio, ma sono vite che meritano attenzione e comprensione. “La sofferenza di queste persone, dei familiari, è enorme”,  ci racconta.

Non sono per il buonismo, ma credo che il sistema penitenziario debba guardare anche al futuro del detenuto. Se uno ruba per fame, non può essere trattato come un criminale senza speranza. Ogni persona ha una storia, e come società dobbiamo imparare a coglierla.

Un cambio di prospettiva

L'esperienza di Bruno ha anche influenzato la sua visione dell'accoglienza: "Quello che mi interessa è diffondere una cultura dell'accoglienza che, purtroppo, non è presente nemmeno in molti ambienti cattolici. Quando le persone sono in difficoltà, dobbiamo essere in grado di tendere la mano, non di giudicare."

Il messaggio che Bruno ci trasmette è forte, chiaro e, soprattutto, necessario. Non si tratta solo di aiutare, ma di comprendere, di guardare alla persona dietro il reato e di promuovere una giustizia che non dimentichi l'umanità.

Sinnai Libera si ripropone di continuare a dialogare con Bruno, affinché il suo lavoro e la sua battaglia possano ispirare cambiamento e riflessione. 

Daniela Pau

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